Ci sono periodi della vita in cui bisogna fare scelte importanti. Per me importante è stata la scelta del vestito della laurea. In occasione dell’ennesima tornata di laurificazioni di amici, parenti, compagni, conoscenti, friends of pen, amici del mare (ecc.), mi sono accorta che non sono passati poi così tanti mesi da quel 2 luglio in cui il mio percorso si è concluso, e ho deciso di aiutare tutti voi – che sicuramente non vedevate l’ora – con una piccola deontologia del laureando. Cose che non avreste mai potuto immaginare senza il mio intervento, insomma.
1. Ringraziamenti: non prendiamoci in giro, a nessuno interessa lo sviluppo dell’economia nello Sri Lanka,come la gastroenterite influisca sul metabolismo dei felini, l’evoluzione normativa della class action nel diritto del Canada occidentale o l’interpretazione sistematica della filosofia giapponese di fine ‘800. A chi presenzia il giorno della discussione interessa essere ringraziato. Scorrere il dito e trovare il proprio nome, seguito da una frase simpatica, affettuosa, e piena di ricordi nostalgici equivale a vivere un pezzo di quei famosi 15 minuti di celebrità che ci spettano nella vita. Ma siamo in Italia, quindi rateizziamo: leggersi sui ringraziamenti della tesi di qualcuno sono almeno 30 secondi di celebrità. [Coraggio, ora mancano solo 14 minuti e mezzo!]
Quindi, non siate avari, e ringraziate. L’etichetta prevede, nell’ordine:
- professore (che in realtà vorreste uccidere, lasciandolo prima agonizzare tra le più atroci sofferenze)
- assistente e correlatore (di cui non avete neanche mai visto la faccia, non siete neanche sicuri che esistano)
- genitori (che pagano l’università e la festa di laurea. E che pagano in generale.)
- fidanzata/o (qualora esistenti. Se inesistenti, l’animale domestico è a pieno titolo sostitutivo della figura amorosa.)
- amici (non dimenticatene neanche uno. Davvero, nemmeno uno. Gli amici sanno essere molto permalosi.)
Non dite che non avete fatto in tempo. Io ho scritto i ringraziamenti ancora prima di iniziare la tesi, un insieme disentimenti sputacchiati alla napoletana, traboccanti di nostalgia e gratitudine. Ed era anche ciò di cui ero in assoluto più orgogliosa, all’interno della mia opera magna di giurisprudenza e copia-incolla.
2. Regali: fare regali di laurea è un casino. No, davvero, un casino.
Ci vorrebbe il coordinamento del consiglio di sicurezza dell’ONU per evitare che uno o due poveri martiri, immolati – loro malgrado – per il presente del neodottore, trascorrano settimane di Whatsapp [ho rimosso come si facesse prima dell’avvento di Whatsapp e gruppi di Facebook] e Maalox per raccogliere prima i nomi, poi le idee, e infine i soldi degli invitati alla festa. Il campanellino delle notifiche li perseguita, è la loro sveglia e la loro buona notte, il telefono si riempie di numeri di perfetti sconosciuti su cui bisognerà esercitare pressione psicologica da ebrei (prestare soldi e chiedere interessi, ndr). Ché, si sa, l’unione fa la forza, siamo tutti poveri, e io non posso anticipare 200€ di regalo di laurea. Deve essere un bel ricordo tra le mani del laureato, ma non un oggetto materiale troppo banale. Un’esperienza unica, ma non uno smartbox. Una cosa costosa, ma non troppo perché non abbiamo abbastanza budget. Non una penna, una valigetta da lavoro, una cravatta: que banalitè. Non un viaggio, dei gemelli, un giochino Apple: troppa ricchezza. Per la prossima laurea fai come me: regala punti di tesi. [Informarsi subito sul tariffario dei professori].
Quindi, caro laureato, qualunque cosa sia alla fine il tuo regalo, fingi di apprezzarlo. Lo sforzo che c’è dietro è comunque notevole.
3. Look: per gli uomini, come sempre, la storia è facilissima. Compare con puntualità “il completo della laurea”, che è poi quello che userete – o avete già usato – al matrimonio di vostra cugina, al battesimo di vostra nipote e per tutta un’altra serie di ricorrenze in cui ripeterete “questo è il completo della laurea”, abbinato ad una scarpa di legno che detesterete, lamentandovi, voi e i vostri mignoli, come signorine post ballo delle debuttanti.
Per le donne, come sempre, la faccenda è molto più complicata. Nella scelta del look di laurea devono rientrare una serie di valutazioni delicatissime:
- Colore e modello dell’abito in linea con stagione e occasione – non nero, non è un funerale, non troppo sgargiante, non è neanche il gay pride, non troppo corto, non è un provino per Mediaset, non troppo lungo, neanche un provino per un monastero, niente calza color carne (triplo orrore), dovrò mettere il fondotinta su ‘sti due prosciuttoni bianchicci? Niente vestiti grigi che si vede la commozione ascellare. Sobria ed elegante ma senza sembrare tua nonna col tailleur il giorno del suo matrimonio civile. Ok, pantaloni.
- Tacchi – comodi. Nessun altro requisito. Comodi.
- Resistenza al devasto – considerata la quantità di alcool che ingerirete dalla proclamazione al coma etilico, complici gli amici che avete ringraziato al punto 1, ci vuole un outfit [oddio, mi odio per aver utilizzato davvero la parola “outfit”] funzionale. Niente bottoncini sulla schiena, niente tutine a pezzo unico monoblocco, fiocchetti e cernierine in posti cretini, che per slacciare il vestito al fine di mingere [ok, ora mi amo per aver usato “mingere”] ci vuole una ditta di demolizioni.
4. Parenti: tutti hanno una zia, un cugino, un nonno imbarazzanti. In ogni famiglia c’è almeno un “personaggione parentale”, che i vostri amici amano alla follia, ma dal cui legame di parentela voi invece cercate in tutti i modi di dissociarvi. Magari è addirittura vostro padre, e visto che avete la stessa faccia non potete fingere che sia solo un matto che millanta consanguineità.
Già, rassegnatevi: vostra madre cercherà di sistemarvi con uno di quei vostri compagni di corso carini che ha visto alla discussione, vostro padre cercherà di contenervi alcolicamente (o sarà il primo a sbronzarsi e a cantare Dottore nel buco del cu’ davanti al preside di facoltà), i vostri cuginetti manterranno non-stop quell’espressione delperchésonoqui facendovi sguazzare in una pozza di senso di colpa per averli privati di un giorno della loro infanzia felice. E, statene certi, sicuramente qualcuno dei vostri si abbandonerà a commenti volgari sul relatore, che, per la legge di Murphy, si troverà in un raggio di metri sufficientemente ridotto per coglierli e perseguitare, da qui all’eternità, tutte le generazioni di studenti che portano il vostro stesso cognome.
Insomma, laurearsi è una fatica. Ma non solo per voi.
A fine giornata, i “finalmente è finita” saranno numerosissimi.