“Quando c’era Berlinguer”: semiotica e omissioni.

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Andrea Scanzi ha recentemente affermato di avere nostalgia di Berlinguer. Immagino si tratti piuttosto di nostalgia di quando aveva dieci anni, la sua età alla morte dell’allora leader del PCI.
All’epoca non ero neanche nato, ma anch’io ho nostalgia di epoche mai vissute! Con questo spirito sono andato a vedere “Quando c’era Berlinguer”.
Regia di Walter Veltroni: la figura più rimpianta della sinistra italiana vista da uno di quelli che più hanno provato invano a non farla rimpiangere.
Sapevo già che mi sarei perso in un groviglio di malinconia e questioni irrisolte. Per cui mi son limitato a cercare qualche appiglio visivo.

– Il bandierone
In apertura, ecco una carrellata di giovani cui viene chiesto un parere sul personaggio: si va dal “politico che ha fatto la politica con la P maiuscola” al “famoso generale”, da colui che “ha messo d’accordo destra e sinistra al suo funerale” al “c’entra con la Corea?” (la ragazza in questione avrà sicuramente letto qualcosa sul celebre combattente Ber Lin-Guer).
Il regista marca subito la distanza: mostra sé stesso e i suoi compagni all’età di questi giovani ignoranti, ad una manifestazione comunista. Messaggio: noi (lui, Ferdinando Adornato, Giuliano Ferrara…) sì che eravamo dei giovani con cui immaginare un grande avvenire.
Ci mostra anche la “ragazzina dai capelli rossi”, di cui si era innamorato, mai ricambiato. La ragazza sventolava un drappo rosso.

Tutta quella passione si conta in numeri: un grafico mostra la scalata del PCI di fine anni ’70 fino a superare il 34% dei consensi. Veltroni commenta con voce rapita, ma in cuor suo sembra chiedersi dove abbia fallito lui, che aveva portato il PD al 37%.
Quella ragazza rossa ancora oggi non lo ricambia, continua a sventolare il bandierone alla sua sinistra.

– Rughe e D&G
Il film è un susseguirsi di immagini di repertorio e testimonianze più o meno prevedibili, in cui sorprende che la più lucida sia quella della figlia Bianca.
È anche la più assennata; e non c’è da sorprendersi: per Macaluso parla la pelle cadente sotto il collo; per Ingrao, l’ovatta per la flebo sul polso e lo sguardo annebbiato quando ricorda il “luuuuuungo” corteo funebre; per Scalfari, il fumo di ciuffi bianchi al vento e quella supponenza da “ehi, quanto ve l’ho menata con quell’intervista sulla questione morale”.
Compare Lorenzo Cherubini, e finisce per essere risolutivo. Dice che “Enrico non poteva non starti simpatico, con quelle ossa esili e i vestiti che sembravano di tre taglie più grandi” e che il comunismo, con la sua faccia, non poteva far paura.

Capisco che Berlinguer e pop politics non avrebbero mai potuto andare d’accordo, ma se a parlare di lui fosse stato più spesso Jovanotti che Macaluso, magari oggi la gioventù ne saprebbe qualcosa in più.
Tra i Sommi, lo storico collaboratore e compagno di partito Aldo Tortorella: tutta la sopravvenuta mancanza di un riferimento culturale appare marchiata in grande sulle stanghette dei suoi occhiali.

Mi fido di noi.

Mi fido di noi.

– Cappotti
Canizie e osteopatie abbondano. L’ex ambasciatore USA in Italia Richard Gardner e l’ultimo leader dell’URSS Michail Gorbaciov isolano dialetticamente la figura del segretario nel muro contro muro da Guerra Fredda. Veltroni ce lo fa venir fuori come uno troppo avanti per i propri tempi.
Per Gardner, l’idea di Berlinguer del marxismo da portare al governo giustificava la diffidenza verso il suo partito. Allo stesso tempo vediamo il poveretto recarsi imbacuccato a Mosca e Sofia a prendersi addosso freddo, freddezza e falliti attentati. Che grande Enrico, pensa Walter: battersi allora per il comunismo nell’alveo della democrazia.

Anche l’autore della Perestrojka lo stima. Mentre parla leggo la sua didascalia: Segretario PCUS e Presidente URSS, e penso che in un mondo perfetto partito e Stato non devono coincidere. All’occorrenza ringrazio Veltroni per avermelo ricordato.
Veltroni, che ha da tempo avallato il leadersimo di Renzi, segretario PD e Presidente del Consiglio.

La strada giusta, finalmente.

La strada giusta, finalmente.

– Lacrime
Renzi, una sorta di compromesso della storia. Dove la sinistra si è fermata a piangere a dirotto, in accento veneto, con gli occhi di Silvio Finesso, operaio presente sul palco padovano dell’ultimo comizio di Enrico.

Ma ci sono pianti più titolati; o con un ché di rettiliano. La voce di Napolitano è rotta mentre ricorda che in fondo, pur nella loro diversità, lui ed Enrico hanno condiviso una lunga militanza fianco a fianco, dalla stessa parte.
(Dove dalla stessa parte significa fare da pontiere con il PSI di Craxi, che nel frattempo fischia sonoramente Berlinguer al congresso di Verona, un mese prima della sua morte.
E dalla stessa parte significa criticare Berlinguer per aver posto male il problema della corruzione nei partiti e, da presidente della Camera nel ’92, aver opposto l’immunità contro le perquisizioni della Guardia di Finanza a Montecitorio.
E dalla stessa parte significa anche flirtare con Henry Kissinger, che nel frattempo intimava a Moro di non dover aprire a un governo coi comunisti).

Il film ci mostra i fischi di Verona. E pure il coinvolgimento di Kissinger nel colpo di Stato cileno che rovescia Allende. Walter, tu non hai niente da aggiungere?

– Bombe
Uno legge Berlinguer e pensa a compromesso storico e questione morale.
Uno legge compromesso storico e questione morale e pensa a Giulio Andreotti.
E poi si ferma ai segreti di Stato.
Lo si vede pure, Andreotti. Ma stavolta Walter ci stupirà, lui sa.

E Walter si premura di far parlare il fondatore delle BR, Alberto Franceschini. Che ci dice che il sequestro Moro e le stragi non avrebbero potuto farle da sole; che è stato permesso loro di agire. Ok, grazie.
E ci fa vedere Michele Sindona che dà dello sprovveduto a Giorgio Ambrosoli, che volle preservare gli interessi dello Stato da quelli di pezzi deviati dei partiti. Ok, grazie.
Poi Andreotti va via.

E anche quel Berlinguer va via. Walter ci dice che l’impossibilità di portare la socialdemocrazia al governo e la corruzione via dai partiti sconforta il segretario, che resta più timido che ambizioso. Enrico va via e porta via tutti, ma non con sé.

– Telecamere
Negli archivi di Walter è presente un ingenuo passo nel futuro del PCI di Berlinguer: il primo convegno in videoconferenza Milano-Roma. Enrico, per l’occasione: “la tecnologia è nelle mani di chi la usa, può essere usata bene o male. È una grande cosa quando è usata bene.”
Un lascito, negli ultimi anni di attività e vita del segretario.

(Napolitano, post mortem, continuerà ad esser dalla sua parte, e da “Il Moderno”, periodico della sua corrente dai finanziamenti discutibili, elogerà le modernizzazioni sociali, economiche e comunicative portate della Fininvest).

"Vinsero battaglie grazie alla loro fuga."

“Vinsero battaglie grazie alla loro fuga.”

Veltroni, dopo anni di allenamento, tirerà fuori la sua innovazione e in campagna elettorale non nominerà mai il suo avversario, per neutralizzarlo.
Anni dopo, avrà imparato un’altra lezione e lascerà la politica. Non senza esprimersi più volte sull’indirizzo del partito da lui creato.
Anni dopo farà un film. Per piacere tutto personale.

Pietro Gentile

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