Premessa necessaria: trascorro gran parte della mia vita in tuta, per comodità, lavoro, amore; il mio rapporto con l’abbigliamento ed i negozi di abbigliamento soffre di eiaculazione precoce.
Al liceo spaventavo i miei compagni di classe che temevano la ramanzina del prof di educazione fisica per aver dimenticato la tuta, salvo realizzare che non c’era l’ora di educazione fisica quel giorno.
Ho chiesto di indossare la tuta il giorno della seduta di laurea, dopotutto ho studiato Scienze Motorie. Ho dovuto indossare per la prima volta dai tempi della Prima Comunione un pantalone che non fosse un jeans, ho dovuto indossare per la prima volta una giacca ed una cravatta. E a sottolineare il fatto che a questo mondo non si apprezza più nulla, c’è anche chi mi ha criticato per non aver messo una cinta.
Nel primo racconto che ho scritto, a dodici anni, ipotizzavo una mia nomina a Presidente del Consiglio e di presentarmi a Palazzo Chigi in tuta. Ognuno ha combattuto il berlusconismo a suo modo.
Come per la laurea, ci sono occasioni nelle quali la tuta proprio non va. Dicono. Perché per me ci starebbe benissimo. Le feste, ad esempio. Con le feste l’eiaculazione non è neanche precoce, è assente. Mentre osservo i movimenti dionisiaci dei presenti [inciso necessario: quando muovete “la colita”, per favore, al comando “izquierda” andate a sinistra ed al comando “derecha” andate a destra; mi fate venire la voglia di correre al centro della sala e spiegarvi la lateralità come ad un bambino di quattro anni], sorseggio l’alcolico davanti a me, come un Bersani ancor più fallito, e mi chiedo: perché gli uomini non vanno oltre un pantalone, una camicia ed un maglione o una giacca? Guarda le donne: tacco alto, tacco basso, senza tacco, con plateau, senza plateau, ballerina, stivaletto e stivale, pantalone, gonna, shorts, vestito, vestitino, perizoma, tanga, slip, assorbente, tampax…
Senza parlare della varietà di colori dell’abbigliamento e delle acconciature. Una volta mi è sembrato di vedere una melanzana umana.
Davvero tutto quello che l’uomo è riuscito a produrre è un risvolto al pantalone? Con un sensibile aumento dei raffreddori, secondo la ricerca pubblicata nell’aprile 2014 dalla Flu and Illness Craps Association.
Ho come l’impressione che l’uomo oggi si vesta dal barbiere: l’abito non fa il monaco, i peli del volto sì.
Vorrei provare ad offrire una pars costruens e così ho ripreso gli ultimi numeri di IL Magazine e Studio e sfogliato le pagine dedicate alla moda, delle quali leggo, solo qualche volta, le didascalie per commentare “tutti quei soldi per quella cacata di camicia?”. Ho eliminato i biases del prezzo e del marchio, ma la conclusione non cambia: come li (si) vestono male!
La quasi totalità delle pubblicità su queste riviste tratta moda e lusso. Nella foto sotto, la pubblicità di Versace a pagina 21 del numero di marzo 2015 di IL Magazine.
Non so da dove cominciare! Perché la camicia è assente? Ed i pettorali si comprano? Ricordo un vestito di carnevale di Hercules, erano simili, solo un po’ più chiari. La cravatta ci sta bene lo stesso? Un petto villoso va bene uguale? Magari si sta più caldi. Cosa ci mette un uomo in una borsa del genere? A noi bastano le tasche.
In verità, gli stilisti hanno provato a rovinarmi anche la tuta, fra l’altro inventata da un italiano, Ernesto Michahelles, detto Thayaht:
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mollettone inguardabile alla caviglia con calzino di spugna bianco in visione. Solo i maratoneti kenioti possono permettersi di mettere in mostra le loro caviglie.
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cavallo basso, perché?
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cotone grigio, stile pigiama.
Non chiedo un ritorno all’acetato che se ti gratti e hai una discreta quantità di peli scoppia un incendio sul braccio o sulla gamba, ma un 100% poliestere, primo tessuto, made in China, fa molto bene il suo lavoro. 60% cotone e 40% poliestere ancora meglio.
Senza molla sotto, quella serve per non far sventolare il pantalone durante l’esercizio fisico. Ma chi si veste per imitazione, che ne sa?